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Erminio Giulio Caputo

Nasce da genitori salentini a Campobasso il 26 novembre 1921, la sua produzione poetica ha inizio nei primi anni cinquanta.
Le significative posizioni critiche di Donato Valli al poeta Erminio Giulio Caputo evidenziano lo spessore interpretativo e la decisiva capacità di lettura del critico letterario nella perspicua contestualizzazione del poeta, sia sul versante storico-letterario, sia sul piano più ampiamente civile e sociale. Nella vorticosa ascesi della parola caputiana Valli individua il senso di una poesia alta e raggrumata, bramosa di una rivelazione, memore di Agostino e Dámaso Alonso. La densità e il travaglio di versi si infrangono, in collisione di sillabe e di emistichi, come voce da frantumi, prima di trovare o scoprire, come in un’apparizione, la soluzione del canto, per ricongiungersi infine in una imprevedibile riappacificazione, con sé e con Dio. La poesia proclama l’impossibilità della morte e accetta la presenza del passato proprio quando la ragione impone di morire e di vincere le memorie. Così la “distrazione al bivio” si rende scelta impossibile, fra letteraria voce lirica e dolorosa coscienza del mondo nell’universale maleficio, per una grande poesia nata dall’umiltà.
Il 128° Convegno d’autunno dell’Associazione Nazionale Poeti e Scrittori Dialettali, quest’anno si tiene nel cuore del Salento, a Gallipoli, dal 20 al 24 ottobre 2022 presso l’ Ecoresort Le Sirenè-Caroli Hotels, con la nutrita partecipazione di più di cento poeti di tutte le regioni italiane, nonché di studiosi e artisti di chiara fama. Si offre al pubblico salentino l’occasione di ascoltare poesie e canzoni nei diversi idiomi che costituiscono il ricco mosaico linguistico della nostra nazione. Ai recital dei poeti e all’esecuzione di brani popolari si alternano i contributi di alcuni antropologi e critici letterari, tra cui il professor Francesco Bellino su “Dialetto e pluralismo culturale”, la professoressa Lidia Caputo su “La lirica d’amore nell’Opera Poetica di Erminio Giulio Caputo”, il professor Emilio Filieri su “Rranca la notte…Erminio Giulio Caputo fra slancio mistico e visioni di poesia”. E, proprio Lidia Caputo, figlia di Erminio Giulio, apprezzato poeta dialettale salentino, osserva: “Oggi le lingue regionali non rappresentano, se non in casi sporadici, un rifugio nostalgico in un passato idilliaco, bensì assumono un ruolo fondamentale nell’ambito del pensiero e del dibattito culturale contemporanei. Alla ricerca esistenziale dell’uomo di oggi non sono in grado di dare un orientamento né l’informatizzazione tecnologica, né l’edonismo dilagante, né il pensiero scientifico che registra i fenomeni, ma è incapace di interpretarli e di evidenziare le connessioni profonde tra i molteplici ambiti della realtà”.
Nel ricordare la poetica del padre, Lidia afferma che, come scaturisce dai versi del poeta Erminio Giulio, “nel dischiudere una parola di senso per l’uomo contemporaneo, si intesse un rapporto complesso, talvolta critico, con la società, con la polis di appartenenza, con l’esperienza quotidiana intrisa di dolore e di speranza, ma che porta alla luce segnali a volte impercettibili di una trascendenza, di una tensione viva verso il superamento del disagio esistenziale”.
Da Paise Miu notiziario di cultura salentina (autrice non menzionata)
Come ogni anno, in occasione dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio Abate, nostro venerabile protettore, mi piace rivivere attraverso approfondite letture e inediti racconti, gli aspetti più antichi della festa, legati alla tradizione e al folklore popolare a cui mi sento profondamente legata, orgogliosa di essere figlia di un paese che ha dato i natali a illustri padri della lingua, della storia, dell’arte e della poesia. Ed è proprio tra questi, che mi piace ricordare con nostalgica commozione, il poeta Erminio Giulio Caputo che ho avuto l’onore di conoscere qualche anno fa durante uno spettacolo teatrale, grazie ad un amico comune. Mi raccontò del suo profondo legame con il mio paese, Novoli, perché aveva dato i natali ai suoi avi e amava la Fòcara che, tante volte, aveva visto bruciare da piccolo, accompagnato dalla mamma Lidia (che molto amava). Proprio ai piedi della Fòcara, nacquero le poesie che ad essa si ispirarono. Due in particolare: Fasciddhe e La Roscia, tra le più belle che siano mai state scritte.
Erminio Giulio Caputo era un uomo buono, colto, affascinante e raffinato; spesso ci siamo incontrati in teatro perché insieme abbiamo condiviso l’amore per il vernacolo e la poesia dialettale tant’è che qualche anno dopo, decisi di dedicargli uno spettacolo dal titolo “Vernacolo e poesia”, durante il quale declamò alcuni versi delle sue poesie più note che commossero l’intera platea e tra queste, “Fasciddhe”.
Ha scritto molte opere in dialetto, recensite da grandi autori della letteratura, da Gino Pisanò a Donato Valli, a Oreste Macrì e proprio come ebbe a dire quest’ultimo, “Il Caputo è considerato un grande poeta salentino, uno dei maggiori del Novecento in lingua e in dialetto”.
Una volta, in una delle tante occasioni, mi disse con grande rammarico: “Amo Novoli, ma Novoli mi ha dimenticato…” e allora … in attesa che anche quest’ anno l’enorme pira bruci nella fredda notte di gennaio, mentre le gigantesche lingue di fuoco si dissolvono in miriadi di faville, vogliamo ricordare un uomo, un poeta, un amico che molto ha amato Novoli, il suo Santo e la sua Fòcara, l’immane rogo che brucia e che purifica.
È una folata di faville liete, amare, ironiche e nostalgiche, è un atto di fede che si compie ogni anno con la devozione di un rito e, nel Fuoco, si identificano le ansie, le paure, le gioie, i dolori e le miserie
Giacinto Spagnoletti nella sua introduzione all’antologia Dialettale dal Rinascimento ad oggi, Garzanti, 1991, annovera Caputo tra gli autori più impegnati culturalmente e socialmente della poesia vernacolare, quando ancora non era stato riconosciuto come tale dai critici letterari. In seguito il poeta viene pienamente rivalutato dai più grandi esponenti della critica salentina quali Donato Valli, Oreste Macrì, Mario Marti, Giorgio Barberi Squarotti, Gino Pisanò, Emilio Filieri, Carlo Alberto Augeri, Gianni Oliva e molti altri.
.Queste le sue pubblicazioni:
La Focara 1953, Marisci senza sule 1976, La Chesura 1980, Aprime Signore 1990, Spiilu de Site 1994, tutte inserite ne l’Opera Omnia, Biancata, pubblicata per i tipi dell’editore Congedo nel 2001, il critico Gino Pisanò attribuisce a “La Focara” opera prima del 1953 la presenza di un seme primordiale che ci aiuta a comprendere meglio il disagio nella versione epigrammatica, nel frammento fulminante e gnomico, embrionale sussulto di quel sisma dell’anima, esploso poi nelle sillogi poetiche della maturità. Continua Pisanò…nella poesia di E.G. Caputo l’angoscia trascende nella speranza, il dolore nella consolazione, il richiamo della terra madre che colpisce l’emigrante, aspirazione alla verità, al significato ultimo di ogni evento storico, socio-economico, etico-religioso, i toni sono modulati. La fede, pertanto, risplende nella sofferenza, il peccato è vinto dalla Grazia redentrice. Lu Core spitterra dieci inedite traduzioni dialettali fra Leopardi e Neruda, curato da Emilio Filieri e Lidia Caputo, pubblicati postumi nel 2012 con la postfazione del Prof. Filieri.
Nella sua poetica prevale la tendenza ad attingere dall’humus della sua terra genesiaca valori, immagini, sentimenti in una tensione civile e spirituale verso l’oltre e l’altro, cosicché il Salento non si configura come punto di arrivo, bensì come punto di partenza del suo itinerario spirituale ed artistico. Tutto ciò è documentato dal titolo della poesia eponima dei Dieci Inediti: Salentu, ndrizza la prua e salpa mmeru Oriente, nonché il volume con poesie di tutto il mondo tra Leopardi e Neruda, tradotte in dialetto salentino. Traduzioni che l’autore aveva preparato per leggerle durante le trasmissioni che un’emittente locale, Radio Salento, dedicava agli autori contemporanei.
Nella sua introduzione alle traduzioni egli rivendica la dignità letteraria della poesia in vernacolo, che, pur attingendo alle fonti vive dell’ispirazione popolare, è in grado di affrontare tematiche impegnative e sfidare sul piano dell’autenticità le lingue nazionali.
Ed eccovi presentate due delle sue più belle composizioni poetiche, che nella loro interezza esprimono la sua traboccante salentinità.

LA ROSCIA

La focara se mmuccia te cinisa,
anturnu quattru mbriachi su rumasi
e na pora ecchiareddha, la Marisa,
a susu nu scalune de la chiesia.
Comu era beddha quannu era carusa.
Tutti li meju strei de lu paise
nci ni mannane,facia l’amore scusa
quanti n’ha buti de dhi beddhi asi.
La focara dha nnanzi scattariscia,
comu fasciddhe l’anni su bulati …
rimane lu muntune de la roscia
e l’urtima sarmenta ca se bruscia.
Na lacrima ca citta se n’ha scisa
cu lu fazzulittone se la stuscia …

FASCIDDHE

Russiscenu lu cielu ste fasciddhe…
te piacenu,la focara sta spampa,
te sta lucenu l ‘uecchi comu stiddhe,
tieni la facce russa comu n’ampa.
Piccinna le fasciddhe ca sta biti
li coriceddhi te lu fuecu suntu,
l’amore ne li porta tutti uniti,
lu ientu li sparpaja d’ogne puntu.
Te sparte se ne ola quarcheduna,
pare ca nchiana e chiange ddha fasciddha
tremula sula e prestu se cunsuma …
Lu core tou è friddu comu a quiddha,
l’amore nu lu scarfa,nu lu dduma,
se perde intr’allu fumu sta fasciddha.

La poesia vive oltre la morte.

Questo era ed “è” Erminio Giulio Caputo.
Giorgio Tricarico, Il dialetto e i suoi poeti, 2023

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